A volte è proprio l’aspettativa che è sbagliata in partenza. Tutti abbiamo a che fare con un aspetto della personalità definito “Ideale dell’Io“, di derivazione psicoanalitica. Questo termine fu introdotto dal buon Freud più di un secolo fa per identificare ciò a cui aspiriamo e frutto di diverse interiorizzazioni cresciute con noi. La forza e la rilevanza di questo concetto fa la differenza e può rivelarsi un importante stimolo così come un notevole danno.
Posso desiderare di essere migliore sotto tanti aspetti, come ad esempio: più brillante socialmente, più estroverso, più affascinante, più bravo nel lavoro, più vincente insomma, se per “vincente” si prendono come riferimenti gli stereotipi della nostra società occidentale. Ma se non raggiungo questi traguardi non significa che sono un’incapace o un fallito. Forse è andata male, a volte semplicemente tutto non dipende solo da noi, a volte è sfortuna, mancanza di tempismo, anche di merito volendo. Ma ciò non deve intaccare il valore che mi riconosco. Dire “non ce l’ho fatta” non è uguale a dirsi “sono un fallito”, ha una connotazione emotiva ben diversa.
E poi c’è un’altra questione che ormai non do più per scontata. Ma questo ideale di te poi alla fine ti appartiene? Ti interessa veramente raggiungere quell’obiettivo lì? Siamo sicuri che ti calzi a pennello e che non rappresenti invece una generica “felicità promessa”? Perché molti impiegano anni a raggiungere traguardi di cui fondamentalmente non interessa un granché, per scoprirlo poi a conti e sacrifici fatti. Quindi queste terre promesse, su di sé e sugli altri, conviene sempre metterle un po’ in discussione prima di partire a razzo. Perché più il Tempo passa e più ci si accorge quanto è prezioso.
A quale aspettativa sto rispondendo? E’ mia o di qualcun altro? Sono sicuro che mi interessa davvero? Come faccio a capirlo? Mi ascolto, mi faccio la domanda e ascolto la risposta dentro di me. La risposta c’è, difficile che manchi quella vocina dentro, quella bussola, più facile che la ignoriamo, la mettiamo velocemente da parte perché può darsi dica qualcosa di irritante. Ma la risposta se vogliamo starla a sentire arriva. Non dobbiamo rispondere ad un ideale, dentro o fuori di noi, che sia della “moglie perfetta”, della “madre”, del “partner”, del “lavoratore”, dobbiamo essere quello che siamo al meglio delle nostre possibilità. Ma nel farlo cercare sempre di restare gentili e pazienti con noi stessi e accettare che perdere fa parte del gioco, non ciò che decreta il nostro valore.
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