Il potere è un aspetto che entra a far parte inevitabilmente delle relazioni e non di meno della relazione terapeuta-paziente. Rappresenta quella dimensione che niente ha a che fare con l’umiltà e che anzi presuppone necessariamente un senso di vittoria e superiorità in chi ritiene di esercitarlo. Ritiene appunto, perché la realtà è così complicata e piena di sfaccettature che nessuno ha il “manuale di istruzioni” ed è al corrente di tutto il sapere possibile. Il desiderio di sentirsi potenti nasce in genere dal bisogno di sicurezza e controllo e dalla difficoltà di entrare in relazione così come si è, con i propri pregi e difetti. Se come terapeuta mi dedico allo studio incessante di svariate tecniche e su di esse investo eccessivamente è perché credo di non bastare come professionista e persona competente e vado a rifugiarmi dietro all’esecuzione di una pratica, per quanto valida e validata. Quando in realtà nulla come la psicoterapia necessita di una partecipazione autentica alla relazione. Anzi ci sono momenti in cui la proposta di tecniche è superflua e fastidiosa perché la sofferenza del paziente chiede soltanto di essere riconosciuta e ascoltata.
Se come partner o genitore ho bisogno di mantenere il controllo e decidere sempre per l’Altro senza fermarmi ad ascoltarlo, probabilmente a governarmi è la paura di perderlo e perdermi nell’Altro. Penso a quei genitori che usano solo modalità autoritarie per ottenere rispetto e venire ascoltati dai figli o usano ricatti affettivi e sensi di colpa. L’intento è quello di far credere o dimostrare che si avrà una perdita affettiva se non . Ma di fatto avranno a che fare con un rapporto dove non ci si incontra davvero ma si resta sulla difensiva, sempre un po’ distanti.
Il potente nella relazione ha bisogno necessariamente di una controparte fragile o che tale si ritiene, perché se chi si crede forte poi di fatto non lo può essere sempre e comunque, chi invece si ritiene vulnerabile è ben più resistente di quel che crede. Questo perché la forza non risiede mai in chi non ha tentennamenti o titubanze, ma in chi conosce le proprie debolezze e impara a non farsi sopraffare da esse. Non si tratta di non avere fragilità o insicurezze, siamo umani, ma di conoscerle e cercare di gestirle. Solo così potrà esserci un autentico incontro di esseri umani e non una competizione tra due parti.
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