Accade, a volte, che sembra che la sfortuna ci perseguiti.
Veniamo sempre lasciati, conosciamo solo uomini sbagliati, le amicizie sembrano solo deluderci, il lavoro non decolla mai.
Tutto sembra ripetersi e talvolta trascorrono anche anni senza che le cose finalmente cambino, per riuscire ad ottenere ciò che vogliamo e che, immancabilmente, sembriamo non conquistare mai.
Perché accade? Siamo sfortunati e incontriamo sempre persone sbagliate? O magari è colpa nostra e dei nostri comportamenti, di cui non ci rendiamo conto fino in fondo? Dove la verità, e soprattutto, la soluzione?
Nel mezzo, tanto per cambiare. Perché quando ci “fissiamo” su qualcosa che ci manca o non fa che deluderci, che si tratti di un fidanzato, amica o quant’altro, la soluzione, e la spiegazione, sta sia in noi che nell’esterno.
Il primo errore sta proprio nel concentrarci lì, in ciò che ardentemente desideriamo e non riusciamo ad ottenere. Consegniamo la nostra felicità e i nostri pensieri a ciò che non abbiamo, non facciamo che pensarci, cercare soluzioni, inventare stratagemmi, tormentandoci da mattina a sera.
“Troverò mai la ragazza ideale? ” “Perché gli amici mi deludono sempre?” “Riuscirò mai a realizzarmi sul lavoro?”
E che succede se arriva la tanto desiderata “persona” (o cambiamento)? Succede che rischiamo di non vedere chi o cosa è realmente, perché abbiamo così bisogno di una svolta, di crederci ancora, di risolvere quella vecchia questione che torna sempre, che di fatto ci basta un tappabuchi, un analgesico che lenisca quell’antico dolore.
“Sì, ok, forse non è l’uomo che sognavo, ma nella vita bisogna accontentarsi“, ad esempio.
O succede che ci attacchiamo morbosamente a lui/lei e ci facciamo andare bene tutto, perché quello che ci dà è tanto per noi, colma un vuoto appunto. Impostiamo insomma una relazione di dipendenza dall’altro, che diventa non una persona, ma un mezzo per risolvere il nostro problema, che esso si chiami solitudine, noia, disistima, o quant’altro. E in genere, con questo tipo di premesse, la delusione è pronta per essere servita, per poi magari struggerci e di nuovo ricominciare con lo stesso solito vecchio disco rotto che suona.
E allora che si fa? Intanto guardarsi dentro, chiedersi se questi “fallimenti seriali” non nascondano nostri limiti e paure, cioè non dipendano un po’ anche da noi, dai nostri atteggiamenti. Esempio: accetto tutto? mi metto sempre in secondo piano? sorrido anche quando ho i nervi a fiori di pelle per non deludere nessuno? non sono onesto con me stesso?
Poi “guardarsi fuori”, ovvero chi si ha di fianco, capire se, di fatto, non si è investito su qualcuno che ha limiti tali da non poterci dare ciò che noi vorremmo. Della serie, inutile aspettarsi attenzioni da un egocentrico. Insomma, si tratta di iniziare con piccoli passi a cercare una strada finalmente alternativa, un percorso nuovo, dove nessuno deve venirci a salvare, se non solo e soltanto noi stessi.
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