Quante cose facciamo per compiacere gli altri? Ve lo siete mai chiesto? Quante delle cose che dite, fate, proponete, nascono dalla vostra volontà e quante invece sono tarate su misura dei bisogni altrui?
E’ importante fermarsi a riflettere su questo punto e provare ad essere onesti con se stessi.
Compiacere è qualcosa che riguarda le piccole e le grandi cose, dal decidere come trascorrere la serata, fino ad annullarsi nei propri bisogni più profondi. E’ qualcosa che può sfuggirci di mano, un meccanismo che può diventare talmente abitudinario che nemmeno più ce ne accorgiamo.
Quanto ci sforziamo di risultare simpatici, piacevoli? Quanto cerchiamo appoggio nell’altro, quanto siamo ematici?
Ovvio che questo atteggiamento, preso a piccole dosi e con il sano e sacrosanto rispetto di sé, non può che fare un gran bene all’umanità intera, altrettanto ovvio è che non bisogna esagerare, bensì dosarlo.
Ogni volta che vogliamo creare un cambiamento, qualsiasi cambiamento, in noi stessi, dobbiamo innanzitutto esercitare la nostra consapevolezza, porre cioè la nostra attenzione e osservazione sugli aspetti che vogliamo modificare e cercare di coglierne tutti i dettagli.
Quali sono le occasioni in cui mi metto al servizio degli altri e accantono me? Ci sono persone con cui lo faccio più di altre? Come mi sento prima? E dopo?
In genere, se abusiamo con questa abitudine accumuliamo nervosismo e rancore verso gli altri, perché ci ritroviamo a dare oltre il nostro limite, cioè a dare quando non ne abbiamo più voglia, e la paghiamo.
Compiacere gli altri, cercarne l’approvazione è l’opposto di bastare a sè, essere sicuri delle proprie opinioni, credere nelle proprie risorse. Proviamo a farci caso e proviamo a smettere di giustificarci e spiegarci. Proviamo a dire qualcosa senza sorridere, senza essere miti, senza dare motivazioni.
A dirci: “Io la penso così, punto, non tolgo nulla a nessuno“.
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