Ci sono vite dominate dalla paura. Di amare, rischiare, perdere, restare soli, anche, paradossalmente essere felici. Paure subdole, di cui magari non siamo (o non vogliamo) essere consapevoli, che in fin dei conti guidano le nostre scelte, le condizionano pesantemente e limitano la nostra libertà. E che ci fanno raccontare tante menzogne, soprattutto a noi stessi. E allora va a finire che non lasciamo il partner perché un giorno cambierà, non cerchiamo un nuovo lavoro perché tanto c’è crisi e non facciamo ciò che ci piace perché sono sciocchezze, e da adulti non si fa. E noi, in fondo, stiamo bene anche così. E facciamo una grande, immensa fatica per mantenere inalterato un equilibrio, pur se non ci rende felici, perché è comunque sicuro e conosciuto, privo di rischi, e ci fa sentire protetti.
Come se questo contasse davvero. Sentirsi al sicuro, al riparo dagli imprevisti. Come se poi avessimo un minimo di controllo, noi piccoli esseri umani, come se rifugiarsi in qualche storia o schema mentale ci proteggesse davvero da ciò che più temiamo. Non è così, ci piace pensarlo, credere che dipenda tutto da noi e dal nostro amato raziocinio, ce la raccontiamo proprio bene.
Invece, se vogliamo dare un sapore e un senso speciale alla nostra vita conviene prendere una direzione diversa, non far che la paura soffochi, ma aprirsi a ciò che è ignoto e oscuro, più grande di noi, intenso, imprevedibile. Perché la realtà è fatta anche di questo, fuori e dentro, e ammetterselo e riconoscerlo facilità le cose e risparmia un sacco di fatica.
Perché ciò che costruiamo ogni giorno, che siano relazioni o case, non è mai immune dai cambiamenti, e la paura è parte del gioco, un validissimo aiuto per capire i nostri limiti e tenerne conto, per tutelarci. Non deve costituire un blocco, non deve impedirci di lasciarci andare e vivere fino in fondo. Perché l’imprevisto c’è sempre, non dipende da noi, non c’è modo di fuggirvi, anzi l’unica difesa che abbiamo è proprio quella di accoglierlo e fargli spazio, non dargli contro.
Ricordo ancora cosa mi disse tanto tempo fa, il mio illuminato medico di base: l’ansia, e il panico, alla fine, sono tanto spaventosi perché ci ricordano che camminiamo di fianco a un burrone, che è lì vicino a noi, anche se non lo guardiamo mai. Che non abbiamo il controllo su tutto, anche se ci piacerebbe tanto, ma se lo accettiamo, proviamo almeno a farlo e smettiamo di voler controllare tutto, scopriremo che il bello è proprio in questo, nel fatto che non dipende tutto soltanto da noi.
Per scoprire, citando un altro, che “la vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare…“. Volare e sentire la brezza fresca sul viso.
Ho un ricordo che desidero condividere, non so se può servire a qualcuno.
Mi trovavo anni fa in montagna, in Trentino: salivamo insieme ad un’amica lungo un sentiero che aveva da una parte la montagna dall’altra un burrone, roccia nuda, quasi priva di vegetazione. Premetto che non ho mai sofferto di vertigini né mi ero accorta prima della paura che portavo dentro di me. Seguivo la mia amica vivendo semplicemente la magia del contatto con la natura, del cielo che si apriva intorno a noi, e non mi sono accorta del sentiero che si faceva sempre più stretto. Ad una curva a gomito improvvisamente la mia amica scomparve alla vista e mi trovai sola, su uno spazio stretto circondata dall’azzurro del cielo. Mi bloccai, non riuscivo a fare più un passo né ad emettere un suono. Dopo qualche secondo che a me parve un’eternità, la mia amica riapparve, si fermò vicina a me e mi disse: -Tita, non hai niente da fare. Tornare indietro per te sarà altrettanto difficile che andare avanti, Coraggio, dammi la mano e cammina, guardando solo davanti, guardando me-.
Non so che potere abbia avuto su di me la mia amica: dopo un istante mossi il primo passo, poi un altro, poi girai la curva sempre guardando lei che mi parlava, poi non ebbi più bisogno di essere tenuta per mano e cominciai a gustare di nuovo la bellezza di essere immersi nell’azzurro.
Da allora cerco sempre una mano, non solo di persona amica, quando la paura si fa risentire: so che fa parte di me, ma che posso tenerla a bada, servirmene per esperienze importanti e gratificanti. Grazie per l’attenzione.
tita