A volte sembra un’impresa epica farsi ascoltare dai propri figli. Vuoi la loro indole, che sicuramente fa la differenza, vuoi il livello di stanchezza, la poca pazienza, nonché le normali oscillazioni umorali a cui tutti siamo sottoposti (loro compresi), certi giorni l’unica cosa che vorremmo fare è quella di vestirci-uscire-aprire la porta e andare lontano, molto molto lontano. E invece no, ci tocca restare, ed educare quel piccolo (o quei piccoli) indisciplinati che pare abbiano come unico obiettivo quello di farci dar fuori di matto.
Ma perché è così difficile dire di no e dare limiti e divieti ai nostri pargoli? Prima di tutto perché comporta un conflitto, dà origine ad una protesta e quindi, detto molto brutalmente, ad un’ennesima rottura di scatole. E chi la vuole??? Poi perché ci porta a vestire i panni di quello antipatico, e fa nascere verso di noi una sorta di rifiuto, cosa che i più grandicelli possono esprimere a parole, ad esempio dandoci del “cattivo”. E avere questo ruolo non è certo piacevole per un genitore, non fa così bene all’autostima ecco.
Eppure è indispensabile, e necessario farlo. Il conflitto infatti è parte fondamentale della relazione genitoriale, perché un figlio ne ha bisogno di quei no, per sentire che un altro decide per lui e gli mette dei limiti, dei paletti a tutto ciò che potrebbe potenzialmente fare e vivere.
La libertà totale per un bimbo è tremenda, perché non la sa gestire, si sente perso, unico responsabile di sé. Lo è per tanti di noi adulti, figurarsi per lui. E poi, in fin dei conti, non esiste il mondo a nostra personale immagine e somiglianza, non si può fare tutto quello che si vuole, la realtà non è così, quindi è giusto conoscerla fin da subito, visto che è in quella realtà che nostro figlio dovrà affrontare.
Ma perché è così difficile insistere e non mollare sulle regole? Perché entrano in gioco le solite dinamiche psicologiche inconsce (perché se sono consce sai che noia…) ovvero la fatica nostra personale, per la nostra storia, i nostri punti di vista, il nostro carattere, a interpretare il ruolo del “cattivo”, a imporre la nostra opinione, a creare un dispiacere.
Di motivi per cui si fa fatica ce ne sono parecchi. E se solo un piccolo infinitesimo atomo di noi stessi esita, dubita sulla legittimità di quel no, loro lo sanno. Loro, piccoli esseri dotati di grandi radar ipersviluppati, sentono, avvertono, sanno che in fondo non siamo mica tanto convinti di quel no, e allora ci mettono alla prova. Sì, perché quei farabutti ci sottopongono a test severissimi, per verificare se manteniamo la regola, se siamo solidi, stabili, quindi affidabili.
Loro hanno bisogno di quello, di pilastri, paletti, riferimenti forti e decisi, adulti che non hanno paura di farsi “odiare”, che poi odio non è, anzi, è Amore, amore di quelli che aiutano a crescere in modo sano.
Certo, un ragionamento di questo tipo fa ben capire che non possiamo fare i genitori per gratificazione narcisistica, per ricevere indietro sempre e comunque una buona immagine di noi stessi, e che quella anzi è l’ultima cosa che conta. Ma questo è chiaro fin da subito, dalle prime notti insonni, dalla gravidanza anche. Che conta il loro bene, conta più del nostro bene, che non va dimenticato, ma vissuto altrove, negli svaghi e tempo libero che ogni tanto ci concediamo. E il loro bene, a volte, li fa pensare e dire che siamo tanto “cattivi”, e a noi non tocca altro che accettarlo.
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