Diventare madre è una vera e propria rivoluzione. E ho idea che chi già lo è difficilmente racconta le cose come stanno. Quando decidi di diventarlo non hai idea di cosa davvero significhi, fino a quando non lo vivi.
Vedi i tuoi amici con figli e la tua mente in effetti non si sofferma molto a registrare cosa può davvero voler dire vivere con un pupo per casa. Qualcuno mi disse una volta che i figli ti danno esattamente quanto ti tolgono, cioè tanto, in entrambi i casi, e credo che questa sia davvero una grande verità.
Fin quando sei incinta è un conto, puoi pensare sognante a ciò che ti aspetta, fantasticando emozionata sul bimbo che verrà, ma nel momento esatto in cui hai tuo figlio tra le braccia, o meglio ancora qualche settimana dopo, ti rendi conto che la realtà è tutt’altra cosa.
In psicologia si parla del bimbo “immaginato” e del bimbo reale, ed è con quest’ultimo che bisogna fare i conti.
Tutti vorrebbero il cosiddetto bimbo “angelico”, il bimbo calmo, che dove lo metti sta, che non protesta mai, che dorme tanto, possibilmente la notte. Ed esistono questi bimbi, eccome, hanno un’indole molto pacifica e fanno poche storie, ma conviene sapere che la maggioranza non è così, in quanto neonati.
La maggioranza dei neonati stravolge completamente i ritmi quotidiani, piange per ciò che non gli va, ci mette mesi, anche anni, a dormire una notte intera e, fondamentalmente, non ci si capisce niente.
Esistono tanti libri sulla gestione del neonato, che dispensano certezze granitiche, parlano di come capire i bisogni dei piccoli, e a leggerli tutto sembra così facile. Ma nessuno ha ricette, non esistono.
E’ molto utile leggere libri, si possono trarre spunti interessanti (uno di questi è il famosissimo “Il linguaggio segreto dei neonati“) ma bisogna avere ben presente che ogni bimbo è a sé, non esistono soluzioni certe, esistono prove.
Avrà fame? Avrà sonno? Sarà il pancino? Allora che si fa? Bisogna provare e soprattutto: OSSERVARE, il più possibile. Cercare di comprendere cosa tuo figlio fa quando ha un bisogno, come lo esprime.
Osservare è un pò come ascoltare, perché è mettersi in ascolto, aspettare, sviluppare un atteggiamento ricettivo, forse ben lontano dalle nostre abitudini di civiltà sempre in corsa.
Credo, ecco, che la prima cosa che ci chiedano i nostri figli, fin da subito, sia questa, di essere visti, riconosciuti, ascoltati, che è lo strumento perché possano essere compresi.
Poi, per fortuna, crescono e iniziano a parlare anche!




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