La sensazione che ho è che non se ne parli molto, almeno non quanto andrebbe fatto, visto il numero di persone che coinvolge. Parlo dell’infertilità, o sterilità, ovvero quella specie di doccia fredda che molte donne e uomini si ritrovano addosso, inaspettatamente, a un certo punto della loro vita. Perché tutti danno per scontato di poter avere figli, e rendersi conto di non avere più questa possibilità fa sentire un po’ traditi dalla Natura stessa, che sembra divertirsi a giocare uno scherzo di pessimo gusto.
Il problema è che l’infertilità porta con sé tutta una serie di vissuti a catena che la rendono molto difficile da gestire, e coinvolge se stessi, la coppia e le relazioni sociali più occasionali. Ci si sente persi, arrabbiati, in primis con se stessi, un po’ in colpa per non essersi magari occupati del proprio corpo e mente come andava fatto nel tempo. E ci si sente diversi e custodi di un segreto quasi vergognoso di fronte agli altri, soprattutto alle coppie di amici che pare non facciano altro che annunciare gravidanze. Non è raro che si tenda ad evitare allora situazioni dove ci sono le famiglie e i bambini, e si guardi ai genitori come meritevoli o meno di una tale fortuna.
I vissuti che entrano in gioco sono parecchi e se non trovano un adeguata presa di coscienza e di sfogo rischiano di fare sempre più male
. E’ molto importante essere onesti con se stessi e dare spazio alle emozioni, perché se non lo si fa la diagnosi di infertilità diventa una bomba che implode dentro e il rischio è quello di rifugiarsi nelle azioni per non sentire tutto il dolore che provoca. Ovvero, ad esempio, buttarsi subito nella fecondazione assistita, nelle sue varie forme, lavorare senza sosta, riempire ogni spazio di attività di vario genere, tutto per non sentire. Ma così il dolore non passa, si stordisce forse, lo si obbliga a rifugiarsi altrove ma non evapora certo nel nulla.
Il dolore ha sempre bisogno di tempo, spazio e accoglienza, e l’infertilità assomiglia tanto a un lutto, alla perdita di una parte vitale di sé, la possibilità di procreare. Per questo credo che, al di là di quello che poi si decida di fare sia importante non sottovalutare l’impatto che provoca la notizia di non poter generare.
Fa molto male, ed è giusto che sia così, perché è come una speranza delusa, come se il mondo improvvisamente non fosse più come ce lo siamo sempre aspettati. Ma il dolore poi passa e si trasforma se elaborato, e anche un colpo del genere può essere superato. E farlo aiuta a capire davvero quale strada si vuole intraprendere, biologica, non biologica, o anche, perché no, nessuna di queste.
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