Qualcuno, non ricordo più bene chi, ma veniva spesso citato dal mio prof di italiano, una volta disse più o meno così: “se lo puoi cambiare perché prendersela, se non lo puoi cambiare perché prendersela“.
Già all’epoca, oramai lontana, dell’adolescenza, capii l’importanza di tale riflessione, molto semplice e logica, ma non così facile da applicare.
Ha poco senso arrabbiarsi e inveire verso ciò che non possiamo modificare, ma sta di fatto che spesso lo facciamo. Spesso ci ritroviamo a picchiare i piedi, protestare, piagnucolare e lamentarci di tutto ciò che non va. Contro chi? Qualche divinità, persone reali, destini avversi… chi può dirlo.
In realtà capitano cose che non si possono modificare, e non c’è niente da fare. E in una società, quella attuale, in cui agiamo per risolvere le cose, convinti che intervenire sia la migliore arma a disposizione, quando ci capitano questo tipo di situazioni restiamo spiazzati.
Parlando in psicologese, è una società dove prevale l’archetipo maschile, dell’azione, del risolvere i problemi, del ragionarci su, ma questo tipo di intervento non è sempre applicabile.
Che fai di fronte a una malattia? A un evento che non puoi comandare tu? Dopo che ti sei arrabbiato e hai battuto i piedi, che fai? Continui così?
L’adattamento, la passività, modi più (archetipicamente) femminili di affrontare le magagne varie hanno una grande forza, sono trasformativi. Accettare ciò che ci accade, ma farlo in modo adattivo, non come triste rassegnazione o rinuncia a migliori condizioni future, è una porta di accesso alla serenità, perché smettiamo di girare attorno a pensieri che parlano di “come dovrebbero essere le cose”, e iniziamo a prenderle per ciò che sono.
E apriamo alla creatività. Credo che nessuno abbia soluzioni, risposte pronte per affrontare al meglio le sfide di ogni giorno, l’unica è sempre provare, provare, provare, mettere in campo risorse nuove, non arrendersi al dolore.
Credere nella forza che l’adattamento ha, perché se le cose non possono cambiare possiamo farlo noi, nel nostro modo di guardare ad esse. E’ già molto, io penso.
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