La psicoterapia è un viaggio, dove il terapeuta è colui che è al fianco del paziente, gli tiene la mano e usa tecniche, conoscenze ed umanità affinché egli possa conquistare un maggiore benessere psicofisico. Il paziente non è un viaggiatore passivo, che si siede sul sedile posteriore e guarda fuori, aspettando di arrivare a destinazione, né dev’essere colui che guida e detta le regole del viaggio e della guida.
La psicoterapia è un percorso in cui il professionista conduce il paziente all’obiettivo desiderato, ma lo fa con la partecipazione attiva di quest’ultimo. Ovvero con la consapevolezza che guardare dentro di sé, cercare soluzioni e ascoltare i propri vissuti emotivi ha un costo: emotivo, di energia ed ovviamente, economico.
Questo bisogna aspettarsi da una terapia psicologica, di lavorare attivamente, di mettersi in gioco sul serio, e quindi di poter anche soffrire un po’ per raggiungere il benessere sperato. E il terapeuta in tutto ciò c’é e ci deve essere, con i suoi migliori mezzi, ovvero con le sue competenze, che si presume vengano aggiornate e supervisionate, anche dopo anni di esperienza, e con se stesso.
La psicoterapia è una relazione anche, oltre che un esercizio tecnico e in una relazione le persone portano loro stessi, la loro indole e personalità. Ciò fa sì che gli psicologi non siano tutti uguali, che con alcuni possiamo avere maggiore feeling rispetto ad altri e lavorare meglio o peggio.
E il terapeuta può umanamente sbagliare, ovvero una sua emozione può intervenire nel suo agire, prima che egli se ne accorga. Ad esempio può essere preoccupato per una persona e questa (normale) agitazione può portarlo ad agire o dire cose che magari andavano ponderate, ma anche noi sbagliamo, siamo umani. Ma le persone questo non sempre lo capiscono o non vogliono capirlo, i pazienti a volte hanno una visione un po’ ideale dello psicologo, che in certe fasi del lavoro può essere utile, ma in altre nociva. Vedere crollare questa idea di infallibilità del terapeuta può dare un gran vantaggio alla persona, perché, in fin dei conti, è un’occasione per comprendere che è in sé che risiedono le risorse ed è lì che dobbiamo cercarle e trovarle.
La terapia è e dev’essere un accompagnamento a questo, un modo per arrivarci, e per questo un percorso che termina è una vittoria, perché è dire a se stessi: “ok, ora vado con le mie gambe, con le mie forze”. Questa è la fine del viaggio, un nuovo inizio di autonomia, un sentirsi più forti e sicuri.
Non invincibili, non mai più sofferenti, ma consapevolmente fragili e forti insieme. E la porta del terapeuta rimane sempre aperta, si può tornare, fare di nuovo qualche seduta a distanza di anni, anche solo una, per la voglia di tornare in quella stanza dove, alla fine, la vera persona che incontriamo e dobbiamo incontrare è noi stessi.
La nostra Anima, il nostro Essere, ciò che ci rappresenta più a fondo, ciò che Siamo, ovvero la chiave, io ritengo, per vivere una vita piena di senso.
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