I disturbi alimentari sono di diverso tipo, i più noti, di cui più si è parlato sono L’anoressia e la bulimia. In entrambi i casi ciò che risulta alterato è il rapporto con il cibo, che diventa un mezzo per manifestare un malessere della persona.
Se si vuole ottenere un risultato con queste patologie, è importante non soffermarsi al discorso alimentare, anzi, per dove possibile (quando la persona non rischia la vita) è meglio occuparsene quasi per ultimo.
Questo perché che sia cibo rifiutato o ingoiato e sputato, in ogni caso si tratta di un meccanismo che la persona usa per piangere un dolore che altro sfogo non ha.
In genere infatti le radici del problema sono da ricercarsi ben più in profondità, spesso in problematiche di natura relazionale e affettiva.
Il cibo rappresenta fin dalla nascita un importante veicolo di amore e contatto con l’altro, non è soltanto fonte di calorie ed elementi nutritivi. La mamma che allatta, o dà il biberon, scambia e veicola calore e nutrimento affettivo, che il piccolo percepisce.
Esiste addirittura la possibilità di un difetto di crescita in neonati che vengono adeguatamente nutriti ma in modo freddo e assente.
Per questo i due movimenti verso il cibo, rifiuto e abuso, sono atti simbolici di atteggiamenti verso l’altro, verso la possibilità di amare ed essere amati. Non solo.
Il cibo, così come la possibilità di assumere delle forme più o meno tondeggianti richiama anche il rapporto che abbiamo con la nostra femminilità. Non a caso questo tipo di disturbi riguarda più frequentemente le ragazze, piuttosto che i ragazzi.
Il grasso, soprattutto in determinati punti del corpo, dà morbidezza, curve, parla di femminilità e rimanda alla principale funzione corporea della donna, ovvero la capacità di generare.
Chi rifiuta il cibo, chi ha paura, terrore, di ingrassare, chi si vede bene solo se con un fisico asciutto, al punto da farne una malattia, fugge anche dal tema della maternità, che in qualche modo gli è insopportabile.
Anoressia e bulimia sono molto più simili di quel che si crede, condividono questa stessa base patologica, di fuga dalla femminilità e arrivano a fare del cibo una vera e propria ossessione.
Tutto gira intorno a quello, perché si vuole evitare ciò che davvero fa male, e ci si concentra sulle calorie. Sono entrambe un notevole esempio di controllo, autocontrollo, fino alla nausea, nel caso dell’anoressia, controllo che sfugge (finalmente) e che porta ad abbuffarsi, nel caso della bulimia.
E’ fondamentale che il terapeuta (sempre dove possibile) si focalizzi prima di tutto su ciò che c’è dietro al sintomo, dia spazio e voce alla persona, con le sue caratteristiche, passioni, emozioni, non riducendo tutto al conteggio delle calorie.
Perché, come al solito, se si vuole che il sintomo sparisca, bisogna portare la persona a riflettere su ciò che motiva e sostiene l’esistenza del disturbo in oggetto.
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