Sento spesso parlare di figure professionali che “fanno un po’ gli psicologi”. Osteopati, naturopati, estetiste a volte, operatori shiatsu e altre che lavorano generalmente con il corpo.
Non me ne voglia chi fa questo mestiere, non vuole essere una critica generalizzata, non lo è di fatto. Vuole essere un’occasione di riflessione su un aspetto che personalmente ritengo molto importante.
Tutte queste figure che lavorano con il corpo e che attraverso massaggi, manipolazioni o altri interventi sbloccano tensioni e rigidità fisiche spesso provocano anche una reazione emotiva. Un pianto, un attacco di rabbia, a volte di ansia. E fin qui ok, per quel che mi riguarda il corpo e la mente sono profondamente connessi tra loro, non è strano che succeda.
Quello che non concepisco e mi fa arrabbiare, è quando si cerca di favorire e fomentare questo tipo di sfoghi e reazioni, portando l’intervento a un campo più psicologico, lasciandovi ampio spazio. Ciò che alcuni operatori non capiscono, a mio avviso, è che certe “liberazioni” non sono sempre consigliabili e, soprattutto, non vanno lasciate a se stesse.
Lo scopo non è soltanto liberare e sciogliere conflitti emotivi e blocchi, ma deve sempre essere anche quello di saper coscienziosamente raccogliere, indirizzare, contenere soprattutto ciò che emerge.
Contenere non è cosa da poco, significa poter portare dentro di sé ciò che emerge senza averne paura, né scappare. Essere una sorta di “stomaco” e digerire quel contenuto insieme e al posto della persona che lo porta.
Se decidiamo che una persona debba sciogliere nodi mentali antichi perché nella schiena avvertiamo una tensione è importante essere ben consapevoli poi che farcene di questo tipo di interventi, ammesso poi che stia a noi e non al diretto interessato prendere tale decisione. Voglio dire: che cosa se ne farà la persona di ciò che è emerso? Sarà in grado di gestirlo? Non ne avrà paura? Quale spazio (legalmente riconosciuto) siamo professionalmente in grado di offrire affinché lo possa elaborare e non si senta invasa o sommersa da quel fiume in piena?
Sono d’accordo che certi lavori necessitino di umanità, empatia e conoscenza della psiche, ma ci vuole molta, molta attenzione quando si rompe un equilibrio, qualsiasi esso sia e quanto sia disfunzionale. Non sta certo a noi giudicarlo tale, e le difese, se ci sono, hanno sempre motivo di esistere e per questo meritano un grande, grandissimo rispetto. Non ho mai visto un paziente entrare in studio e abbandonare improvvisamente tutte le sue paure e limiti, lasciandosi andare da un momento all’altro. E nemmeno vorrei vederlo.
Vorrei invece che si facesse maggiore attenzione a liberare, smuovere, provocare cambiamenti e prese di coscienza, perché non esiste né mai esisterà “fare lo psicologo” (che poi sarebbe meglio dire lo psicoterapeuta) esiste esserlo, cioè lavorare con criterio, attenzione, scrupolo e tecnica dopo anni di preparazione personale (analisi propria) e professionale, essendo ben consapevoli di ciò che si va a fare ed attivare e di quali potrebbero essere le conseguenze, oltre a come gestirle. Questo, secondo me, è fare il bene delle persone.
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